Non è una scuola perfetta

Alessandra Greco

La fama del Fermi, a Modena, è consolidata. E infatti quando, nel settembre del 2004, vi approdai come insegnante di Italiano e Storia per ritrovarmici ancor oggi, un po' già conoscevo la qualità di questa scuola che prepara tecnici apprezzati dalle industrie del nostro territorio o studenti universitari che, in facoltà come ingegneria o fisica, non fanno certo rimpiangere le blasonate e tradizionali preparazioni liceali. E a dire il vero conoscevo anche la connotazione ideologica del Fermi, il cui corpo docente e la cui dirigenza avevano fama di essere piuttosto coesi, coerenti e militanti. E io, che in quella connotazione non mi riconosco, ho anche pensato che il mio non allineamento avrebbe potuto crearmi un certo disagio. Ma sottrarsi al confronto e, perché no, alle sfide intellettuali, relazionali, scolastiche, non ha mai fatto parte del mio carattere...Provenendo fra l'altro da esperienze lavorative diverse quali il giornalismo, la ricerca universitaria, gli archivi e, come insegnante, da scuole statali "di frontiera" dove mi sono fatta le ossa sapevo che gli incontri/scontri, sempre che siano basati sull'intelligenza e il rispetto, producono spesso esiti singolari e proficui. Anche per questo gli istituti professionali non dovrebbero mai mancare nel curriculum di un docente perché in quei contesti hai necessariamente bisogno di un confronto ma soprattutto, se sei capace, impari a trasmettere i valori culturali attraverso molteplici approcci umani e relazionali, spesso non facili. Così, tra premesse e forse qualche pregiudizio, ho iniziato il mio percorso al Fermi e, fin dai primi giorni di scuola, l'approccio con una dirigenza forte e con colleghi spesso per nulla incuriositi di recepire eventuali riflessioni, punti di vista o proposte portate da chi non proveniva da quel ordinato microcosmo, così lontano da quelle scuole 'faticose' in cui alcuni di noi approdati di recente al Fermi si sono formati come docenti, mi hanno fatto conoscere una realtà in cui l'identità e il senso di appartenenza fanno parte dell' esperienza quotidiana del lavoro scolastico. Un approccio significativo dunque, confermato dalla conoscenza degli studenti, anch'essi orgogliosi (e a volte un po' intimoriti) di frequentare una scuola che fa ancora della trasmissione dei contenuti il fulcro della propria proposta didattica e formativa. Cosa assolutamente non scontata in anni in cui parte della scuola italiana ha purtroppo seppellito la conoscenza sotto un mare di progetti e corsi di didattica dimenticando, al di là anche (ma non sempre) di buoni propositi e sincere intenzioni che, smarrendo o sacrificando i contenuti, si smarrisce anche il senso, la forza del nostro lavoro. Questo al Fermi non è accaduto, e una tradizione di indubbia qualità e serietà, garantita dalla stabilità di un corpo docente che spesso lì si è formato, si è perpetuata anche a costo di una certa orgogliosa specificità non molto propensa al confronto con altre situazioni. Ad esempio nello studio di una materia come Italiano e Storia considerato, anche rispetto ad altre realtà scolastiche da me frequentate, un po' troppo "ancillare" rispetto alle materie tecniche e scientifiche e non sempre apprezzato nel suo significato più propriamente umanistico. Intendo dire che, al di là dei contenuti, la vera scommessa e il più ambito obiettivo di un docente di Lettere in un istituto tecnico è trasmettere la curiosità, motore fondamentale per l'intelligenza, e far capire che, prima di divenire un ottimo tecnico o un brillante professionista, sei sempre e comunque una persona. E sia Italiano che Storia, uniche materie umanistiche in un istituto tecnico industriale, parlano proprio a quella persona, aiutandola certamente ad acquisire conoscenze e strumenti critici, ma facendole anche capire che la cultura è anche esperienza, modo di sentire e di vivere. Quando mi è capitato di condividere questi obiettivi credo che i risultati siano stati apprezzabili per tutti, studenti, docenti e per la scuola stessa.