Se questo è un cinquantenario...

Maurizio C.

....significa che senza volere, sono diventato vecchio. E lo sono diventato assieme al Fermi, anche se esso lo dimostra meno di me. Posso dirlo, perché siamo scolasticamente nati assieme, negli anni in cui era in incubazione quello che da lì a poco, sarà chiamato "miracolo economico". L'anno scolastico 56−57.
Uno studente d'oggi che il mattino parte con lo zaino alla moda e il motorino, il look tipico e standard, forse non saprà mai cosa significhi essere rifiutato dalla scuola che sta frequentando, perché, dopo un anno scolastico disastroso, si è stati bocciati e non ci si può riscrivere per mancanza di posto. Come se ci fosse stata offerta una possibilità di studio che non si è saputa valorizzare, ed ora si deve lasciare la chance ad altri, forse più meritevoli. Così ci si trova, come nel mio caso, con la possibilità preclusa, sia ai licei, sia agli istituti tecnici di allora.
Restava il mondo del lavoro, con gran disappunto dei miei genitori, al quale stavo già pensando e facendone i preparativi, con impieghi in vari settori durante quella maledetta estate, con l'amaro in bocca da mandare giù.
Tenete presente che non eravamo in pochi a trovarci nella mia situazione, anche se avvertivo non vero l'adagio "mal comune, mezzo gaudio". Ricordo che una sera di fine estate, si presentò a casa mia uno dei compagni di sventura che, per il fatto d'essere figlio del più amato sindaco della città, era evidentemente più informato. Mi parlò di un'iniziativa che gli Enti Locali stavano per avviare, su proposta dell'assessore R.Triva, allo scopo di sopperire alle incapacità di risposta del sistema scolastico di allora: una scuola nuova, tipo istituto tecnico, gestita direttamente dall'Amministrazione Provinciale, con due sole specializzazioni, chimica ed elettronica.
Scartata elettronica, per antipatia congenita, restava chimica. Tutto quello che sapevo di chimica, si riduceva ad un'ora di lezione cui avevo assistito nella scuola precente, dove un canuto professore si presentò in questo modo: "Cari ragazzi, devo insegnarvi la chimica, che è una cosa talmente complessa che non capireste. Non preoccupatevi, avrete tutti la sufficienza, se poi qualcuno si sforza, almeno a venire a lezione, avrà un voto anche migliore".
Così mi trovai riciclato come chimico, in una scuola che si chiamava ITIP e successivamente FERMI per scelta più o meno democratica tra i frequentanti. Bene, quel Fermi mi ha accompagnato per quarant'anni, cinque da studente e trentacinque da insegnante.
Un periodo così lungo, ovviamente, si è andato riempendo di tante cose: cose serie, considerazioni, ricordi piacevoli e spiacevoli, incontri di quelli che lasciano il segno e di quelli che non riesci a mettere completamente a fuoco, azioni che avresti voluto compiere e azioni che vorresti non aver compiuto.
Per il periodo trascorso da studente, una costante mi ha accompagnato per tutti i cinque anni, il senso di stupore e di novità: gli insegnanti di materie tecniche per lo più provenivano dall'industria, quelli di materie comuni per lo più erano giovani, ma in comune tutti avevano l'atteggiamento di chi ti sta a sentire. Non soltanto per gli argomenti strettamente attinenti le materie, ma anche per qualsiasi altro argomento che si volesse mettere in campo. E ben ricordo come una lezione sui polimeri, allo scadere della campana si trasformò in scambio acceso d'opinioni contrastanti sulla recente invasione dell'Ungheria, discussione nella quale spesso l'insegnante non si limitava a fare da mediatore, oggi si direbbe "da conduttore", ma portava la sua passione e la sua formazione come qualunque di noi, senza la pretesa di influenzare. Questa situazione si ripeteva regolarmente anche per problemi attuali, ma più futili, come gare sportive, cinema, teatro, avvenimenti di cronaca, libri famosi, ecc. Pareva che tutto dovesse essere verificato, fatto proprio se non con l'esperienza diretta, almeno col confronto d'opinioni. Quante volte siamo andati, studenti e insegnanti, in blocco a "verificare" al cinema o a teatro, o dove possibile, chi avesse ragione.
Ripensando oggi a quel periodo mi accorgo di come ci fosse stata proposta una forma di scuola attiva, ma non velleitaria, non staccata e da subire, come invece eravamo abituati nelle scuole precedenti, nelle quali ogni cosa doveva seguire un piano che interamente non conoscevamo, né eravamo stati coinvolti ad elaborare.
Potrei quasi sostenere che una parte delle motivazioni del '68 riguardanti la scuola, ci lasciarono freddi perché noi lo avevamo applicato e superato con molto anticipo.
Col tempo, indubbiamente, avvenne anche in questa nostra scuola la "normalizzazione", in altre parole cominciò la fase che gradualmente ci andava avvicinando alle scuole che vi erano attorno. Si tenga presente che erano passati gli anni '60 con tutto il loro significato, compresa la fine della scuola classista e rigida che avevamo conosciuto nell'adolescenza. Gli insegnanti cominciarono ad essere assunti dalle graduatorie e non più per scelta e chiamata diretta.
Nei trentacinque anni del mio insegnamento, però, sono sempre stato intimamente fedele a quello spirito che il Fermi di allora mi aveva trasmesso. Ho sempre cercato di mantenere vivo un rapporto che fosse prima umano, come di un fratello maggiore, con ciascuno. Cercando di capire e valorizzare le doti che mi pareva di intuire in ognuno, capire i momenti di crisi anche a scapito, a volte, del risultato scolastico; e poi, centrare un'analisi chimica la prima volta che si esegue, è più un caso che abilità; è il metodo d'indagine che deve essere trasmesso e salvaguardato. Non affidarsi a ricette predisposte, perché nello specifico del nostro mestiere, il rischio è l'automaticità acritica.
Ho avuto anche molte soddisfazioni dalle mie classi. La più curiosa che ricordo e che mi diede molto piacere, è la volta che riuscii a trascinare tutta la scolaresca a teatro (a sue spese), per assistere all'esecuzione di un testo non facile come il "Requiem" di W.A. Mozart, con sua gran soddisfazione, a posteriori però!
La cosa che mi ferì più di tutto?
Il dover prendere atto come, dopo quei primi anni "avventurosi" e ideali, molti degli insegnanti di allora, ripiegassero verso scuole normali che garantissero loro la carriera e il posto di ruolo − un ruolo per il corpo docente, al Fermi, sarebbe arrivato solo dopo undici anni di insegnamento −, la loro passione di allora era quindi frutto di scelta, o si limitava ad un'esperienza temporanea, con la consapevolezza di non poterla poi mantenere? Si dica ciò che si vuole, ma vi rivedevo l'italico "tengo famiglia".
Per fortuna, alcuni rimasero e oggi, i viventi, sono anche più vecchi di me. Spesso c'incontriamo e dopo gli inevitabili "ti ricordi?" ce n'andiamo ognuno per la propria strada leggeri leggeri, almeno finchè dura il ricordo.