ERANO I BAFFI...

Luca Malagoli

Eppure c'era qualcosa di diverso, ma non riuscivo a capire cosa. Notavo una forte differenza in un aspetto fondamentale ma non riuscivo a mettere a fuoco di cosa si trattasse. Era passato parecchio tempo da quando ero uscito, diplomato, dall'Istituto (1989, anno di svolte epocali) e mi ci sarebbe voluto ancora un anno da quando avevo ripreso a frequentarlo (attorno all'anno 2004) in modo assiduo, come docente precario, per riuscire, finalmente, ad individuare quale era quella benedetta differenza.
Improvvisa arrivò la folgorazione: i BAFFI... erano i baffi ... sì, non avevo dubbi, mancava un paio di baffi. Non erano un paio di baffi qualsiasi... erano I BAFFI... erano in grado di parlare e di mostrare in un colpo solo cosa si poteva chiedere e cosa era meglio rimandare a giornate migliori. Alcune mattine quei baffi vibravano, avevano quasi le punte all'insù, ed erano mattine di burrasca, ma la maggior parte delle volte erano baffi certamente autorevoli, ma prima di tutto comprensivi e, per fortuna di noi studenti, comprensibili.
La mia frequentazione del Fermi, come studente, cominciò nel 1984, dopo la consueta, e comune a molti, roulette per la scelta dell'istituto secondario da frequentare. Ero abbastanza convinto. Il primo giorno di scuola mi sono ritrovato nella classe I C e così conobbi, assieme ai miei compagni di classe, anche i professori. Ricordo ancora bene le lezioni: del caro professor Malagoli, preciso e umano docente di Matematica; dell'innovatrice professoressa Cavalcanti nel suo continuo tentativo di rendere attuale l'insegnamento di Officina; del professor Medici, mio primo e fondamentale contatto, decisamente sentito (anche fisicamente), con la fisica; e di tutti gli altri docenti: Naldi, Castagnari, Acerbi, Degoli, Barbini (con il quale ebbi la fortuna di rimanere fino al quinto anno).
Finito il biennio propedeutico si trattò di scegliere l'indirizzo. Non fu difficile scegliere di rimanere al Fermi, la scuola la sentivo mia, e di prendere gli studi di elettronica: ed erano gli anni in cui l'elettronica conquistava terreno e fantasie nel cuore e nella mente degli adolescenti.
Venni assegnato al corso F, incrociai il mio percorso di studi con alcuni dei docenti fondamentali nella mia formazione, soprattutto nella successiva decisione di voler studiare per poter diventare a mia volta docente alle scuole secondarie superiori. Alcuni per tutti. Il professor Pacchioni, con la sua voce profonda e le sue grosse mani: con lui l'elettronica digitale era un divertimento. Il professor Losi: le sue lezioni erano sempre leggere, grazie alla sua capacità di sdrammatizzare, ed estremamente precise, al punto da poter utilizzare gli appunti presi in classe per insegnare elettrotecnica in una delle mie prime esperienze da docente. Il professor Orlandi: comunque una spiegazione anche ai casi elettronici più oscuri era in grado di trovarla. Il professor Camodeca: non era ancora un allenatore campione italiano di scacchi, ma inglese lo utilizzo tuttora senza difficoltà. Infine la professoressa Nicolini: ineguagliabile sia per la determinazione con cui insisteva sull'importanza della cultura umanistica e filosofica anche per futuri tecnici ("fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza"), sia per le frequenti sfuriate con cui cercava di svegliare una generazione in cui comparivano i primi segni di intorpidimento sociale, ancora più evidenti ai nostri giorni.
Sono tornato al Fermi con continuità nel settembre del 2004, grazie ad una supplenza come docente precario (condizione tuttora valida, per me come per molti altri miei colleghi). Ho ritrovato diversi miei cari professori, così come due persone importanti nella quotidianità: le bidelle Bruna e Raffaella. è stato un po' come tornare a casa, e poter finalmente restituire, almeno in parte, quanto avevo ricevuto.
In tutto questo mio percorso, comunque, la costante è sempre stata l'autorevolezza del preside Ronchetti a far da riferimento sia come studente (anche quando cercava di farci ragionare sull'irragionevolezza di alcuni scioperi, proponendo in alternativa assemblee studentesche), sia come docente.
Penso sia questo particolare senso di appartenenza a fare dell'Istituto Fermi una realtà unica, da conservare come patrimonio anche davanti al cambiamento di chi lo frequenta (studenti, docenti e dirigenti scolastici) e di chi ne deve determinare il futuro, e da rinnovare per poter essere in grado di affrontare le nuove e inevitabili sfide proposte dal progresso della tecnologia, delle scienze e della società.