SFASAMENTI SPAZIO−TEMPORALI

Franco Vaccari
(insegnante)

Uno va in pensione. Di colpo attorno a lui si fa la quiete; in quel silenzio strano, dove il tempo non è più scandito da obblighi d'orario, ci si sente dimenticati − come si dice − da Dio e dagli uomini. È solo un'impressione. Dopo alcuni anni suona il telefono:
"Sei tu Vaccari? Qui è il Fermi ". è la voce della segretaria allucinatoria nell'essere indipendente dal tempo, sempre così giovanile e cordiale.
La prima reazione è di tipo pavloviano (reazione neurovegetativa che anticipa qualsiasi pensiero, anche il pił elementare): un vuoto allo stomaco, una sensazione di mancamento seguita da un lampo di autocoscienza:
"Vuoi vedere che mi sono dimenticato di andare ai prescrutini?"
"Sì sono io. Ciao Meris". Sto riprendendo il controllo, con una punta di compiacimento per aver dato con questa pronta risposta una buona dimostrazione di disinvoltura e di memoria senza evidenti segni di Alzheimer.
E la Meris, sempre con quella voce che provoca sfasamenti spazio−temporali va subito al dunque: "Lo sai che quest'anno si celebrano i primi 40 anni del Fermi; sarebbe gradito un tuo contributo, una tua testimonianza. L'abbiamo chiesto anche agli altri ancora in vita. Possiamo contarci? ".
Quei 40 anni gettati lì con naturalezza sono un altro lampo: quarant'anni! non è possibile. Ho provato qualcosa del genere quando mi sono separato e mia moglie mi ha detto: "Sono stata la donna della tua gioventù".
Sono parole che provocano cadute a picco in abissi di presa di coscienza.
Ma con il mio solito autocontrollo dico: "Per quando?"
"Per ieri".
Lo stile è quello di sempre: sobrio, essenziale; una volta si sarebbe detto spartano. Ci si sente il segno di una tradizione, di una robusta regia. Ed eccomi qui, stanato nel mio limbo pensionistico, anch'io con un passato. È difficile mettere ordine ai ricordi che emergono, invece, quando meno te li aspetti, evocati da una parola, da un incontro, da un sasso nella scarpa, da un profumo, da una brioche. Ma il passato che ti arriva addosso tutto in un blocco è un evento raro, è una forma di illuminazione. Ed è quello che mi è successo oggi. Non posso più rimediare: i migliori anni della mia vita li ho passati al Fermi.
Poteva andarmi meglio? Forse. Ma la domanda è priva di senso, come chiedere a qualcuno se gli piacerebbe cambiare i figli.
Adesso che ci penso qualcosa cambierei, qualcosa in me stesso che mi permettesse di capire cose delle quali solo più tardi mi sono reso conto.
Per esempio mi fa male il ricordo di uno studente del primo anno che in un tema, intitolato pomposamente "L'uomo", lo iniziò alla grande con la precisazione "L'uomo si divide in uomini e donne" e concluse la frase in un modo che avrebbe fatto invidia a qualsiasi surrealista: " .... l'Uomo, questo fantoccio che serve ai sarti per provare i vestiti". In quel tema gli diedero un quattro. Ho il rimpianto di non aver difeso abbastanza quel ragazzo.

E poi vorrei essere stato meno nervoso, meno impaziente, soprattutto quando lavoravo in miniera: i dieci anni di lavoro alle serali.
È una dura legge di natura che anche gli studenti crescano, si riproducano, iscrivano i loro figli al Fermi: ma dà una certa soddisfazione constatare, quando li incontri, che ti riconoscano, ti sorridano come se fossero contenti di rivederti e poter constatare come si facciano valere nella vita: si laureano nelle materie più diverse, diventano professori universitari (per esempio in Fisica, la mia materia), dirigono industrie, c'è anche chi è diventato veggente e scrive libri esoterici, e poi sembrano particolarmente dotati per diventare sindaci.