LE PRIMEDONNE DELL'ULTIMA FERM ... A TA

Alessandra Michelini, Chiara Maiagoli, Erika Frigieri, diplomate a.s 1996/97
Luca Silingardi, Enzo Francesca, diplomati rispettivamente a.s.1993/94 e 1994/95.

Ora che ognuno di noi fa parte di quella moltitudine di persone che, finalmente, ha attraversato la soglia della "maturità" ora che ognuno di noi si trova ad essere etichettato con il termine un po' freddo di "ex−studente", è difficile non cadere in trasfigurate nostalgie, tentando di ricordare un'esperienza vissuta durante gli ultimi difficili anni, e splendidi, dell'adolescenza. Tutti coloro che assieme scrivono quest'articolo, infatti, sono accomunati, oltre che dall'avere frequentato la medesima scuola, dall'avere partecipato all'esperienza teatrale, che ogni anno viene costituendosi, sviluppandosi e coronandosi all'interno della rassegna "Teatro di Classe", e dall'averne serbato uno splendido ricordo.

Teatro

C'è chi non dimentica il proprio provino (quando ancora erano tanti coloro che volevano recitare nello spettacolo della scuola!) e le speranze in esso riposte per ricevere una "buona parte" perché il teatro, anche quello senza professionisti, è sempre pieno di "99 primedonne", e chi non dimentica quando, alla fine di una messa in scena nell'auditorium della scuola (perché è lì che una volta si rappresentavano gli spettacoli), un gruppo di amici venuto a vederlo gli gridò un "carpe diem" di oraziana memoria, e a lui sembrò di stringere la pienezza estatica dell'essere un attore acclamato.
Alcuni sostengono, addirittura, che il teatro abbia proprietà taumaturgiche in fatto di timidezza e di capacità espressive, altri che sia un ottimo rimedio per scacciare la tristezza, qualora si stia attraversando un brutto periodo.
Senza arrivare a tanto, è sicuramente vero che il teatro cambia chi lo pratica, perché spinge l'attore ad indagare se stesso, le proprie emozioni e i propri sentimenti affinché il proprio personaggio ne tragga profitto e possa apparire il più reale possibile a chi fruirà della performance. Quindi cambia nel senso che accompagna l'attore ad una più profonda conoscenza di sé. Anche se potrebbe sembrare, dall'esterno, che col tempo l'attore perda la sua identità per confondersi nell'infinità dei suoi personaggi, in realtà l'attore si conosce bene e, al massimo, non può che arricchirsi dalla vita e dall'esperienza irreale o verosimile dei suoi personaggi.
Non dipingiamo, comunque, quest'esperienza solamente in maniera Rocaille, a tinte pastello: indagare se stessi ed esporre palesemente il proprio essere, pur celandolo sotto le spoglie del personaggio, non è cosa da poco e richiede un grande coraggio, quello del rimettersi in gioco! È vero, però, che i profitti di un simile investimento sono davvero appaganti: vedere crescere quella piccola creatura che è la "messa in scena", prova dopo prova, pomeriggio dopo pomeriggio, ed assistere al miracolo, nuovo ogni volta, della mėmesis che, pur in una dimensione differente da quella reale, è evento al quale altre persone, attraverso il quarto e mancante lato della scatola scenica, partecipano interiorizzandolo, proprio come esperienza realmente vissuta.
Questa è la massima grandezza della mimesi del teatro e del cinema e della diegesi della letteratura (estendendo il significato aristotelico di mìmesis e di diégesis oltre la pura rappresentazione e narrazione del reale): la possibilità di fare vivere al fruitore mille vite, mille esperienze che mai, altrimenti, avrebbe vissuto, e di arricchirlo.
All'attore la gioia e l'orgoglio di permettere che questo miracolo continui a compiersi. Coloro che scrivono quest'articolo sono rimasti così affascinati da questo "altro mondo" che continuano a calcare le scene e rimarranno eternamente grati, per questo, alla loro scuola che, pur non avendo un indirizzo umanistico, ha offerto loro questa opportunità, e ai professori Milena Nicolini, Magna Mater di questa iniziativa, ed lvan Andreoli, pater familias del gruppo.