UN POSTO ALL'ONU

Andrea Ori
(commissario dell' Onu, diplomato a.s.1983/84)

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Dall'ottobre 1996 faccio parte della Missione dei diritti umani delle Nazioni Unite in Rwanda. Il mandato della missione prevede la promozione e protezione dei diritti umani. Io, in particolare, sono responsabile dell'Unità d'Educazione e Promozione dei diritti umani e mi occupo di tutte le attività di promozione e sensibilizzazione sia a livello informale che formale, cercando di favorire lo sviluppo di una pacifica coabitazione e il rispetto del prossimo.
Dopo il diploma in Elettronica al Fermi e la laurea in Scienze Politiche, nel 1992 ho ricevuto il mio primo incarico all'interno dell'Organizzazione delle Nazioni Unite: ho partecipato all'organizzazione delle elezioni in Cambogia. Il mio ruolo di District Electoral Supervisor prevedeva l'organizzazione di tutto il processo elettorale, dal censimento della popolazione avente diritto al voto alla sua registrazione. Tra una fase e l'altra partecipavo alla campagna d'educazione civica su concetti quali democrazia, libertà di voto, ruolo dei partiti politici ecc. Tutto è stato molto interessante ed intenso, soprattutto considerando che questo popolo stava cercando di uscire da un lungo periodo di tremendi avvenimenti ed era la prima volta che partecipava a libere elezioni. Molti cambogiani incontravano l'uomo bianco per la prima volta. Al termine di questa missione decisi di far ritorno in Italia e rimanerci qualche anno, rinunciando cosi a ripartire per altre missioni che durassero più di due, tre mesi. Quindi diedi la mia disponibilità alle Nazioni Unite e al Ministero degli Affari Esteri a partecipare solo a missioni di breve durata. Il rientro in Italia, dopo tredici mesi di Cambogia, fu relativamente facile: i miei genitori felici di riavermi tra loro, gli amici tutti presenti e ben disposti ad ascoltare e indagare su questa mia inconsueta esperienza di vita e di lavoro. Più difficile fu la ricerca di un lavoro. L'organizzazione per la quale lavoravo prima di partire, che mi aveva assicurato il reinserimento al mio rientro, si trovava in piena crisi e quindi nell'impossibilità di assumermi. L'Università, con la quale avevo mantenuto buoni rapporti e avevo collaborato, aveva altri progetti e una lunga fila di studenti e neolaureati pronti a lavorarvi.
A quel punto non restava che il privato, che mi offriva buone opportunità, soprattutto alla luce della mia esperienza all'estero con le Nazioni Unite. Scelta però che avrebbe orientato la mia vita lavorativa lontano dal settore pubblico e sociale per il quale mi sento più portato come sociologo, e mi avrebbe precluso la possibilità di accettare altri incarichi dall'Onu, pur se di breve durata, come in effetti accadde nel 1995, quando in ottobre partecipai in qualità di Osservatore Internazionale alle elezioni in Mozambico.
Dopo diversi colloqui, incontri ed interviste, decisi di lavorare per un'associazione del cosiddetto terzo settore, e così passavo dai panni della maschera a teatro a quelli del sorvegliante in fiera. Una scelta difficile e alienante considerando le mie esperienze ed aspettative. Vorrei citare solo un episodio per spiegare la situazione a volte di disagio. L'ultima sera a Maputo ero a cena con altri colleghi osservatori elettorali e autorità italiane e si discuteva di geopolitica internazionale e del futuro del Mozambico e del Sud−Africa, la sera dopo ero al teatro Storchi a strappare biglietti.
Fortunatamente, in seguito, riuscii a trovare una collaborazione come sociologo in un importante Comune della provincia di Modena, e subito dopo ottenni una seconda opportunità dal Centro Studi del Comune di Modena per svolgere ricerche sulla condizione giovanile, alcune delle quali sono state pubblicate.
Questo mio, è un percorso forse inconsueto se si considera la mia scelta delle scuole superiori: l'istituto Tecnico "E. Fermi" di Modena.
Scuola che, nonostante debba formare dei periti, ha saputo comunque, attraverso alcuni dei suoi professori e tecnici, rispettare le individualità di ogni studente, non ingabbiandoli in schemi e ruoli troppo rigidi e conformisti, favorendo un processo formativo ed educativo rispettoso della personalità di ogni studente. Le lezioni di letteratura, di storia, avevano la stessa importanza di quelle tecniche. L'interesse particolare rivolto a soggetti quali le culture altre, le civiltà pre−colombiane, il colonialismo, i racconti di viaggi ed avventure, le esperienze di lavoro all'estero antecedenti la professione di insegnante, hanno sicuramente contribuito, nella fase di crescita adolescenziale, alla formazione di un'identità ricettiva e sensibile a tutto ciò che di inconsueto, diverso, e d'altro ci circonda, ma che in una realtà di provincia è difficile poter vivere e sperimentare.
Inoltre ho avuto la fortuna di incontrare compagni di classe, ma soprattutto adulti che hanno saputo relazionarsi non solo da insegnante a studente, ma piuttosto da amico e confidente, instaurando un dialogo e una comunicazione di interdipendenza positiva. Comunicazione o relazione che è quindi uscita dagli schemi classici scolastico−educativi per trasformarsi in una frequentazione di interessi comuni e di vera amicizia. Ricordo con grande piacere le uscite domenicali d'inverno per andare a sciare, le cene, che non erano quelle di classe, dovute, che fanno tutti; in sintesi, il piacere comune di stare bene, di frequentarsi perché ci si diverte, dove la differenza d'età non è motivo di incomprensione, ma di scambio d'esperienze e conoscenza di un vissuto diverso. Tutto ciò catalizzato, nel quarto anno, con la proposta di realizzare un film. Il film, in realtà, fu il cemento di un sodalizio che esisteva già e che aveva bisogno di definirsi in un obiettivo comune, condiviso. Tutta la classe fu coinvolta alla sua realizzazione; la maggioranza di noi abitava fuori Modena e dipendeva dagli impietosi orari delle corriere, ma non ci scoraggiammo. E fu cosi che In ordine sparso, questo il titolo, venne realizzato e un sogno coronato.