PAURA E DESIDERIO

Gabriele Anzellotti
(Preside università di Trento, diplomato a.s. 1968/69)

Il mio lavoro, la famiglia, mi lasciano oggi ben poco tempo per fermarmi a ricordare, e così le cose dei tempi passati se ne stanno di solito sepolte e ignorate nella memoria. Ma quando questa mattina ho visto nel pacco della posta quotidiana la busta intestata del "Fermi", e mentre poi leggevo l'invito a scrivere una pagina sulla mia esperienza di alunno della scuola, una folla di persone e di fatti mi sono tornati chiari e vividi nella mente all'improvviso, come se quei cinque anni, dal 1965 al 1969, fossero appena trascorsi.
Ed ecco che vedo mio padre, serio e quasi presago, che a tredici anni mi dice: "So che tu vorresti studiare, ma io non so se potrò mantenerti anche all'università, è bene che tu abbia un diploma che ti consenta di guadagnarti da vivere a diciotto anni. Ho deciso di iscriverti al Fermi, mi dicono che è una buona scuola". E subito sono nella scuola, un edificio nuovo di zecca, in 1°A, al piano terreno, appena entrati a destra.
Arriva la pagella del primo trimestre: tre insufficienze (italiano 4, officina 4, disegno 5). Che lotta quell'anno. Ma che meraviglia il laboratorio di fisica (il mercurio che scappa ovunque, l'interferenza, lo stroboscopio, il generatore di Van der Waals), lo ricordo ancora tutto!
E ovviamente ricordo dopo due anni i progetti a tarda notte per "punire" (secondo noi) il professore "cattivo", facendo esplodere in classe due petardi rimasti dalla festa di San Geminiano. Senza capire veramente quel che si faceva. E tutti i guai a seguire. Chissà se questa storia è rimasta fra le leggende del Fermi e in quali versioni. Credo di aver capito allora che chi sbaglia dovrebbe avere sempre la possibilità di riparare.
Venne poi il '68. Non sono stato molto attivo in quell'evento, ma l'ho osservato con molta attenzione e ne sono uscito con una convinzione che non si è affievolita tra i riflussi storici: il valore e la necessità dell'impegno "politico", nel senso cioè della responsabilità e dell'impegno per l'organizzazione della convivenza civile, a partire dal luogo in cui si lavora ogni giorno.
E ricordo i compagni e i professori, anche se l'unico che continuo a sentire e a vedere è Giorgio, fedele compagno di tante avventure nei luoghi della mente e della terra. Un saluto a tutti!.
Non ho molto amato la Matematica, mio mestiere poi per venticinque anni, quando ero al Fermi. Mi veniva con facilità, ma mi deludeva un po'. Finche ne scoprii la potenza nei corsi di elettronica del quinto anno (grazie Gianni!) e presi quella strada all'università. Sono certo di aver avuto diversi vantaggi, nei miei studi successivi e poi nel mio lavoro, grazie alle competenze costruite al Fermi nei corsi di disegno, fisica, elettrotecnica, elettronica. E non mi riferisco agli amplificatori a pentodi, buoni per i musei, ma al metodo di rapportarsi alla conoscenza. I laboratori sono stati fondamentali. Ma mi è mancata la filosofia, e un pò di storia dell'arte. Mi piacerebbe che i miei figli potessero oggi avere una scuola che sviluppa insieme il conoscere e il saper fare, l'amore per il pensiero e la concretezza, la capacità di sognare e di agire.
Vado raramente a Modena ormai e comunque sono di fretta. Mi è accaduto più volte di sentire il desiderio di andare al Fermi, entrare di nascosto, girare nei larghi corridoi, incontrare con sorpresa qualche compagno di allora che adesso insegna lì. Poi non vado.
Mi chiedo se ho forse paura di scoprire che tutto è cambiato e che molto tempo è passato ...