FUNZIONE EDUCATIVA NELLA SCUOLA

La scuola italiana ha dato − almeno fino agli anni Sessanta − una grande importanza, ma anche una interpretazione molto restrittiva, alla propria funzione educativa. Si distingueva innanzitutto tra scuola elementare, popolare e dell'obbligo, all'interno della quale si doveva "educare più che si può e istruire quanto basta", e scuola superiore in cui l'educazione doveva consistere soprattutto − in particolare nei licei − nell'acquisizione di un rigore formale sia nel comportamento sia nel metodo di studio e di ricerca. In sostanza si riteneva che fosse importante che la scuola − in continuità con la famiglia − riaffermasse e inculcasse al livello elementare alcuni valori, dai minimi (ordine, pulizia, parsimonia) ai massimi (rispetto dell'autorità, della famiglia, della religione, onestà, sacrificio, bontà d'animo, ecc.); che questi valori risultassero poi, in certi casi, mistificazioni, dipendeva dal contesto più generale della società: sta di fatto che la scuola era impegnata e, in parte, riusciva a trasmetterli efficacemente e direttamente attraverso letture, esempi e stretti rapporti educativi, per quanto autoritari, tra alunni e maestri.
Nella scuola superiore prevalevano invece aspetti meno contenutistici e più intellettuali che morali o comportamentali: i principi della libertà di insegnamento, della neutralità della scuola e della scienza, della libertà di pensiero di tutti i cittadini, trovavano la loro realizzazione concreta nella insistenza sugli aspetti formali e metodologici impliciti nell'insegnamento di ciascuna disciplina scolastica.

Negli anni Sessanta comincia a delinearsi una situazione nuova: l'ampliamento della scuola dell'obbligo coincideva con una fase di espansione economica e di innalzamento del livello di vita che avevano bisogno anche di una nuova mentalità, più moderna, più aperta a nuovi modelli di comportamento e quindi anche di consumo. La scuola dell'obbligo, più che trasmettere valori, deve stimolare interessi, più che prolungare la famiglia, deve essere luogo di nuove forme di socializzazione e di svecchiamento, più che abituare al sacrificio, deve dimostrare che si può imparare non solo ascoltando e leggendo, ma anche osservando, toccando, giocando; e per questo c'è bisogno di maggiore attività e spontaneità. è vero che queste cose vengono più dette che praticate, ma influiscono moltissimo sulla mentalità che si va uniformando e americanizzando di pari passo con l'uniformazione e l'americani77azione dei consumi. La scuola dell'obbligo diventa uno dei fattori che realizzano il trapasso da una cultura popolare o borghese fortemente marcata da valori e costumi morali tradizionali e locali ad una cultura in cui il senso della tradizione, della appartenenza e della morale ha lasciato il posto ad una generica cultura del progresso, dell'apertura e dell'esperienza. Qualcuno ha anche parlato della scuola dell'obbligo (e della televisione) come di strumenti micidiali per un genocidio culturale e morale.
In modo analogo la scuola superiore − che conosce una grande espansione degli istituti tecnici e professionali grazie alla garanzia che essi sembrano dare di un immediato raccordo coi mondo della produzione − vede sempre più posti in crisi gli aspetti formali e intellettuali della sua formazione a tutto vantaggio di una ricerca − più pretesa che realizzata − di maggiore praticità, di utilità immediata di ciò che si studia.
Essa dovrebbe preparare non più una ristretta cerchia di dirigenti mediante un lento e sicuro curriculum, ma una folta schiera di tecnici intermedi, di operai specializzati soprattutto per i settori più moderni dell'industria.
Sarebbe interessante vedere statisticamente in che misura, fin dall'inizio, questa idea di un'espansione della scolarizzazione fosse realmente funzionale al modo con cui l'industria si stava espandendo. L'impressione è che in realtà la scolarizzazione sia iniziata quando ormai l'espansione economica aveva dato il massimo che poteva dare, tenuto conto chele sue basi erano ben poco diverse da quelle dell'immediato dopoguerra e non vi era stata alcuna radicale trasformazione e riorganizzazione della produzione. Quello che è certo è comunque che la scolarizzazione non era programmata, tanto è vero che insieme agli istituti tecnici − di cui si poteva presumere l'utilità − crebbero enormemente gli istituti magistrali di cui era provata l'assoluta superfluità.
Così, nel giro di pochi anni, il grande balzo in avanti della scuola si rivela per quello che è: e cioè la costituzione di un grande parcheggio con funzioni custodialistiche e socializzanti per giovani che il mercato del lavoro potrà assorbire solo gradualmente.
Al di là dei numerosi altri effetti culturali, sociali, politici ed economici che questa situazione viene a determinare coi mutare della situazione economica nazionale e internazionale, interessa qui sottolineare un aspetto che è il primo a scoppiare in tutta la sua evidenza: e cioè che queste masse di giovani tenuti in stato di minorità (psicologica, familiare, sociale, giuridica, politica), superficialmente omogeneizzate da una cultura vagamente progressista e consumistica, avvertono improvvisamente tutto il vuoto morale, l'inautenticità dei rapporti, la vanità dei contenuti culturali e formativi in cui la scuola li tiene.
Il '68 è prima di tutto una rivolta morale, contro l'incapacità educativa della scuola, incapacità che rende completamente scoperte le funzioni puramente selettive o di smistamento di questa grande anticamera della società. In questa situazione i residui della saggezza e dignità della scuola liberale (libertà di insegnamento, neutralità della scienza o autonomia della cultura, rigore della forma e del metodo) vengono considerati come paraventi, se non come strumenti, dell'incapacità sostanziale della scuola di collegarsi con la vita.
Anche la scoperta della politica, che è il volto positivo, la parte costruttiva del '68, è una scoperta morale e psicologica più che culturale e storica: gli studenti avvertono in essa la possibilità di un impegno totale, di uno stile di vita meno egoista, meno passivo, più capace di incidere nella società.
Ci si interroga su come la scuola ha risposto a questa domanda sicuramente autentica e positiva. Sul piano di nuovi rapporti sociali, si è oscillato tra una risposta paternalistica − o ancor peggio qualunquista − e indifferente e una formalista e burocratica: l'abbandono in molti casi degli studenti a se stessi nel lavoro scolastico e la costruzione di un apparato di organi democratici che si è rivelato alla fine legalistico, esteriore e in definitiva travestimento del vecchio autoritarismo e del formalismo scolastico. Sono falliti, nella sostanza, i due obiettivi più urgenti e più importanti che la scuola doveva porsi almeno sotto il profilo educativo: e cioè quello di dar vita a nuove forme di relazioni tra insegnanti e studenti, e studenti tra loro, capaci di garantire un retroterra di riflessione e anche di sostegno morale e psicologico per giovani che uscivano improvvisamente, e a volte neppure coscientemente, dal chiuso delle mura scolastiche e familiari per gettarsi nell'avventura della politicizzazione; quello soprattutto di dare uno spessore storico scientifico e culturale all'impegno nella politica e nei problemi sociali.
Si sono visti giovani andare incontro a crisi gravissime di smarrimento, di solitudine, di improvvise radicalizzazioni per la mancanza nella scuola di riferimenti che non fossero quelli di qualche compagno più adulto a cercare altrove alcuni schematici e frettolosi riferimenti culturali immediatamente trasformati in dogmi ideologici; altri ancora chiudersi progressivamente in se stessi o regredire a forme di infantilismo di fronte alle inevitabili delusioni e al mutare delle situazioni politiche.
Se l'entusiasmo contestativo, la sbornia politica e ideologica sono ora in gran parte passate, il risveglio è peggiore del sonno. Non solo stiamo ancora aspettando riforme culturali sempre più urgenti (una riforma della scuola ad esempio − in grado di superare le contraddizioni artificiose tra diritto allo studio e diritto al lavoro), ma quasi facciamo più fatica a capire i giovani delle ultime generazioni che i "contestatori" delle precedenti.

Evidentemente un documento non può risolvere e neppure indicare con chiarezza tutti i problemi educativi impliciti nella situazione brevemente delineata nel suo processo storico; sarebbe sufficiente chiarirne qualcuno e impegnare tutte le componenti del nostro istituto ad affrontarli.

Giuseppe Bernardi

19/5/67 Corteo degli Studenti in partenza da Via Luosi

19/5/67 Corteo degli Studenti in partenza da Via Luosi
(dal "Documentosulla funzione della scuola" − I.T.I.P. "E.Fermi")