Speciale "Fermi"

Fatti e protagonisti

Una esaltante esperienza didattica che anticipò le "150 ore"

Coinvolse un gruppo di operai della Maserati protesi ad impadronirsi di strumenti culturali fino ad allora negati

L'articolo di Tullio De Mauro fa riferimento all'esperienza (documentata nel libro "...Allora...più si studia più si diventa amici del padrone?" edito dalla Lega per le autonomie e i poteri locali, Roma 1972) che si tenne a Modena tra il 1971 e il 1972 nelle aule dell'Istituto Tecnico Industriale "E. Fermi" di Modena.
Si trattò di un corso frequentato da una cinquantina di operai modenesi (di età e di esperienza molto varia con un gruppo unitario consistente della fabbrica "Maserati" di Modena) che volevano conseguire la licenza di scuola media. A questi operai insegnavano gratuitamente insegnanti dello stesso istituto e di altre scuole, studenti del "Fermi" e universitari.
I principi su cui si fondava il corso erano tre: 1) La completa gratuità; 2) l'impegno di "mettere tutti nelle condizioni di raggiungere l'obiettivo"; 3) la consapevolezza che la scuola debba "diventare uno strumento di istruzione permanente al servizio dei lavoratori" e che quindi la classe operaia si debba servire della scuola per impadronirsi di quei mezzi culturali che le permettano di lottare con maggiore compattezza e coscienza della realtà per risolvere i propri problemi di classe" (dal libro citato, parte prima, p.19).
In quell'anno nella sola Provincia di Modena circa 1000 lavoratori frequentarono corsi spontanei o comunali (o comunque alternativi rispetto a quelli delle scuole private), dimostrando nei fatti quelle aspirazioni (a conseguire la licenza dell'obbligo e ad impadronirsi di strumenti culturali fino a quel momento loro negati) che furono alla base della richiesta sindacale delle "150 ore", ottenuta con il contratto dei metalmeccanici del 1972 e realizzata concretamente a partire dall'anno scolastico 1972−73.
Nel successivo anno scolastico l'esperienza del Fermi venne ripetuta con un altro gruppo di lavoratori, e si diede vita a un Comitato di coordinamento che promosse assemblee nelle varie scuole che ospitavano corsi serali di 3° media e di scuola superiore, che intervenne in discussioni relative ai metodi e ai contenuti dei corsi stessi e tentò, ove possibile, di risolvere i problemi dei singoli lavoratori−studenti, tenendoli in contatto e collegandoli in azioni comuni per impedire che l'isolamento e la mancanza di informazioni causasse nuovi e definitivi abbandoni della scuola.


Vorrei provare a dire qui che cosa significò, quando apparve, "Allora più si studia più si diventa amici del padrone?" Che cosa significò per chi ora scrive queste note, forse per qualcuno che le legge, certo per molti altri, sparsi per la lunga e policentrica Italia, un paese ancora pieno di sorpresa, almeno per chi vive dentro le tristi stanze in cui si fabbrica quell'informazione che per molti intellettuali coincide con la realtà. La scuola italiana aveva prodotto per un secolo analfabeti; quando non aveva prodotto analfabeti, aveva cercato di produrre subalterni e consenso ottuso. L'avvento della democrazia incise poco, rispetto alle speranze degli antifascisti, intellettuali e no, che, chiusi nelle carceri e nei confini, scacciati in esilio, erano stati tutti impegnati a discutere, tra le altre cose, di scuola, di una scuola rinnovata nella cultura, nei metodi, negli obiettivi. Le speranze si erano tradotte nella lettera della Costituzione. Ma non nei fatti, se non in assai piccola parte.
Le denunzie arrivavano a ondate. Ma il silenzio e opache resistenze ogni volta avevano avuto la meglio lungo gli anni cinquanta e sessanta.
Il sessantotto e l'autunno caldo furono il grande megafono per dare voce a denunzie e proteste. Ma anche a tante altre cose. La critica a una scuola gestita in modo da non dare cultura, se non a patto di ottenere il consenso ai gruppi dominanti, si trasformò dalle prime settimane delle occupazione delle università a Torino, Pisa, Roma, in una critica a ogni scuola, a ogni cultura. La spallata operaia dell'autunno caldo non bastò a raddrizzare l'ideologia antiscolastica tra i gruppi intellettuali progressisti di area cattolica, comunista, socialista.
Aveva vita difficile chi in quegli anni cercava di collocarsi in tali gruppi e, però, chiedeva non meno, sibbene più studio, non meno, o nessuna, ma più e più seria scuola per tutti. Per tutti, e anzitutto per quel che restava delle classi contadine e per la classe operaia.
Per chi dopo il sessantotto occupava questa difficile posizione, il libretto di Modena arrivò come un segno di rassicurazione. Operai, insegnanti, avevano discusso tra loro, schiettamente, anche aspramente, l'intera questione: e il libro veniva a dirci che la strada che avevamo imboccato era quella della necessità di conquistarsi più scuola, più cultura, più mezzi intellettuali e linguistici, per potere meglio criticare e sviluppare la vita sociale.
Ma il libro ci dava anche di più. Con la precisione del rapporto, ci diceva su quali vie si potevano orientare corsi per adulte e adulti che fossero stati respinti anzi tempo dalla scuola. Ci dava suggerimenti di metodo importanti, come quello dell'unità profonda dei processi di formazione delle competenze e dell'utilità di una profonda, reciproca unione tra le persone impegnate nei processi di crescita intellettuale, culturale, umana. La tecnica del "sottomarino", del trasformare il fatto che alcuni restano indietro "in un problema intellettuale, culturale e umano collettivo, mandando tutti a ripescare i sommersi, i dispersi, i "perduti" (aveva detto così don Lorenzo Milani), era il simbolo terminale di una visione educativa che si imponeva con forza per i modi assai realistici e concreti della sua costruzione e per l'efficacia dei suoi risultati, che andavano ben oltre la scuola.
Da quando lo abbiamo avvistato non lo abbiamo più perduto di vista, quel sottomarino. Credo di poterlo e doverlo dire: i Centri di Iniziativa Democratica degli Insegnanti (i CIDI), i nuovi programmi riformati della media inferiore, il movimento per la riforma delle elementari e delle medie superiori; quelli per la generalizzazione della scuola per l'infanzia, per il rinnovamento della didattica universitaria e per l'educazione degli adulti, devono moltissimo a quel piccolo natante partito dieci anni fa da Modena. Quando il mare è grigio piombo e il barometro segna tempesta, il suo guizzo rosso ci rassicura, negli anni.

Tullio De Mauro