LA SCUOLA CHE NON C'ERA

Intervista a Rubes Triva di Maurizio Malavolta (Direttore di TRC)

Rubes Triva nel 1957 era vicepresidente della Provincia ed aveva la delega all'istruzione; in quella veste ha avuto un ruolo fondamentale per la nascita ed il decollo del Fermi. Questa conversazione è la storia di quei mesi e contiene un messaggio che ha mantenuto intatto il suo valore nel tempo: "se ad una famiglia dai una prospettiva per i figli, hai già risolto molti dei suoi problemi".

Foto di Rubes Triva

Incontro Triva nel mio ufficio di ex studente del Fermi che oggi si occupa di tutto, tranne che di chimica ed elettronica: destino comune a molti dei giovani che sono passati nell'istituto di via Luosi, una scuola che sforna buoni tecnici, ma che ha formato e forma ottime persone, categoria alla quale tento immodestamente di appartenere.
Poche righe di introduzione per spiegare perché mi trovo a scrivere questa intervista o meglio questa conversazione con uno dei padri fondatori del Fermi: faccio il giornalista, così come miei ex compagni di scuola degli anni '70 fanno i sindaci, gli artisti, gli imprenditori ed ovviamente anche, la maggior parte, i periti in chimica ed elettronica.
Dicevo che incontro Triva nel mio ufficio, malgrado più volte mi sia offerto di andarlo a trovare a casa: "è meglio di no − mi ha risposto ad un certo punto − prima perché non sono rincoglionito e secondo perché in un luogo di lavoro mi trovo meglio, mi sento più a mio agio".
Non registriamo nulla, mi limito a prendere appunti e quindi il testo è frutto dei ragionamenti di Triva e della mia interpretazione.
Cominciamo:
D − Ti faccio la domanda che ti aspetti: perché nasce il Fermi, qual è stata la molla che ha fatto scattare il via all'operazione?
R − Come sempre la molla principale è quella del bisogno. Eravamo ormai in settembre e venne da me l'allora preside dell'istituto Corni ing. Malagoli. La situazione era, per certi versi, drammatica: l'economia modenese aveva già allora un bisogno impellente di tecnici, c'erano molti giovani pronti a farlo, ma il Corni scoppiava ed in quell'anno non aveva più alcuna possibilità di istituire nuove sezioni, non c'era più un posto disponibile.
Chiesi all'ingegnere cosa si poteva fare e lui, guardandomi dritto negli occhi, rispose che si doveva fare una nuova scuola e che bisognava riuscirci entro l'inizio dell'anno scolastico. Subito pensai fosse impazzito, ma pochi minuti di conversazione bastarono a convincermi e cosi iniziò l'avventura del Fermi.
D − Avventura?
R − Come chiameresti la decisione di far nascere una nuova scuola in un mese, superando impedimenti burocratici di ogni genere, trovando una sede, gli arredi, i professori e quindi gli studenti? Il tutto sapendo di aprire una strada nuova, quella degli enti locali direttamente impegnati ad un livello alto dell'istruzione.
D − Quindi c'è anche una componente ideologica alla base della nascita del Fermi?
R − Ideologica non direi, piuttosto politica: io e diversi miei colleghi dei Comuni pensavamo fosse indispensabile l'apporto della cultura delle realtà locali nella scuola, una scuola (è bene ricordarlo) a quei tempi molto chiusa, pressoché isolata dal contesto sociale in cui operava.
Non a caso, a cavallo di quegli anni, le amministrazioni locali modenesi fecero nascere le scuole materne e poi gli asili nido, quindi il Fermi e la facoltà di Economia e Commercio.
Non c'era un progetto, un disegno: semplicemente le scelte di tutti portavano nella stessa direzione.
D − Torniamo al Fermi. Hai detto che si fece tutto in un mese...
R − Un mese o poco più: mi ricordo viaggi continui tra Modena e Roma, al Ministero della pubblica istruzione, con l'aiuto costante del preside Malagoli e l'appoggio convinto di tutto il Consiglio provinciale che votò la delibera all'unanimità. Trasformammo lo stabile ex ONMI, mettemmo banchi ed arredi tra i più belli (volevamo che fosse anche una scuola gradevole per come si presentava), selezionammo gli insegnanti, che vennero assunti dalla provincia, e quindi venne pubblicato il bando di iscrizione.
D − Perché Chimica ed Elettronica?
R − La scelta di Chimica era pressoché obbligata: in quegli anni si stava affermando il distretto della ceramica e non potevamo non rispondere a quella esigenza. Più complessa la scelta di Elettronica ed anche più sofferta.
D − Perché più sofferta? Non mi sembra poi una cosa tanto drammatica.......
R − Si vede che parli e pensi con il metro di giudizio di oggi. Devi invece calarti nella realtà di quel tempo, quando soltanto pochi iniziati sapevano qualcosa di elettronica.
Devo dire che senza l'intuizione dell'ing. Malagoli probabilmente avremmo fatto scelte diverse. Lui, però, mi convinse ad approfondire ed arrivai a capire quali straordinari scenari di sviluppo si sarebbero aperti con questa nuova branca della scienza e della tecnica. Industria nuova, ad alto valore aggiunto anche nelle dimensioni piccole e medie come è nella nostra realtà, un'industria (vedi che ci pensavamo già allora) pulita, che poteva trovare spazio anche in città, anche in quei villaggi artigiani che volevamo realizzare.
D − Mi sembri soddisfatto di quella scelta e poi... quali altri motivi di soddisfazione hai trovato in questa esperienza?
R − Molti, ovviamente, a partire dal fatto che il Fermi c'è ancora e continua a funzionare bene. Era il primo dei nostri obiettivi: non fallire, dimostrare di avere le capacità e la cultura anche per fare una scuola. Devo dire, però, che un motivo in particolare mi ha dato soddisfazione e cioè l'apertura alle donne. Già nel bando di iscrizione il Fermi nasceva come scuola tecnica maschile e femminile e subito un discreto gruppo di ragazze trovò posto, praticamente per la prima volta, in un istituto di questo tipo.
D − Senti, nella mia esperienza di ex studente del Fermi, ho ovviamente raccolto molte leggende sulla scuola, una di queste raccontava che il primo nucleo di studenti del Fermi era formato in gran parte dagli "scarti" del Corni...
R −...Altro che leggenda, era la verità: tra i nostri ragazzi, molti avevano un percorso scolastico tormentato ed erano, appunto, stati scartati dal Corni. Ma in fondo anche questo è diventato un motivo di soddisfazione: sono stati in gran parte recuperati, quasi tutti hanno finito la scuola con ottimi risultati.
D − Non mi dirai che si facevano miracoli?
R − Miracoli forse (sottolinea il forse) no, ma certo avevamo dato vita ad una scuola diversa.
D − Diversa? Perché diversa? Anzi, meglio, diversa da cosa ?
R − Diversa dalla scuola "tipo" di quel tempo, tutta formalismo e spesso con poca sostanza: al Fermi vennero insegnanti preparati e soprattutto molto motivati. All'interno della scuola c'era molta più libertà per tutti, libertà di espressione ed anche di movimento e forse proprio questo clima favorì il recupero di persone che in qualche modo avevano rifiutato la scuola tradizionale.
D − Sì, forse è vero. Al Fermi, però, si pretendeva, e da quanto è dato sapere si pretende ancora molto dagli studenti. Selezione e rigore......
R − Questa era l'altra faccia della medaglia: anche la libertà ha un prezzo e nella scuola è quello di rendere al massimo: possibilità di scelta, ma alla fine contano i risultati.
D − Ormai è più di un'ora che stiamo parlando, proviamo a tirare le fila del discorso. Prima però ancora una domanda sulla storia del Fermi: i fatti, i cambiamenti, sono sempre legati alle persone. Ricordi qualcuno che abbia avuto un ruolo particolare in questa vicenda?
R − Dell'ing. Armando Malagoli abbiamo già detto. Potrei aggiungere il primo preside del Fermi, Pietro Guerzoni, col quale passai diversi pomeriggi a discutere di come fare, di come riuscire ad aprire in tempo la scuola e poi di come farla crescere. Ancora potrei dire dell'allora capo dell'opposizione in Consiglio provinciale Pacchioni, persona stimabile con la quale, sul Fermi, raggiungemmo un perfetto accordo. E infine l'allora presidente dell'Amm.ne Prov.le Gaetano Bertelli, che ci aiutò tantissimo. Ma in questo gioco rischio di dimenticare molte persone: ognuno fece la propria parte per raggiungere l'obiettivo.
D − Provo io a fare un nome in più, vediamo se ti dice qualcosa: Rubes Triva...
R − Guarda, non voglio fare il finto modesto: da Assessore alla pubblica istruzione ha avuto certamente un ruolo nella nascita del Fermi, ma non ha avuto meriti particolari. Non siamo stati eroi, abbiamo fatto quello che c'era da fare, con i mezzi che avevamo a disposizione, niente di più.
D − C'è una morale in questa storia, c'è un insegnamento che possiamo evidenziare perché non sfugga a chi ha avuto comunque la pazienza di leggere?
R − Credo di sì, credo ci sia uno spunto interessante: col Fermi abbiamo avuto la capacità di rispondere ad una esigenza dell'immediato, guardando al futuro. Ora sono in previsione enormi cambiamenti per la scuola italiana e modenese, ma migliorare l'esistente non basta, dobbiamo creare le condizioni per lo sviluppo della nostra società. Anche questa volta abbiamo il dovere di non fallire.
D − Allora ti faccio un'ultima domanda: cosa pensi della possibilità di coinvolgere soggetti privati nella gestione del Fermi?
R − Scusa, ma non dovevamo parlare delle origini della scuola?
D − Certo, certo. Ma tutto serve .... piuttosto pensi di rispondere o no?
R − Figurati (mi guarda come si guarda un ragazzino impertinente). Cosa penso dei privati? Ne penso bene e ne penso male: bene se il loro coinvolgimento significa sviluppo, significa migliorare la scuola, aggiungere una o più specializzazioni, insomma se si tratta di un apporto concreto e convinto. Ne penso male, invece, se il tutto si limita ad una gestione comune dell'esistente: per cosa? Per risparmiare un po' di soldi? Poco interessante, poco convincente.