UN GRANDE PASSATO NEL FUTURO DEL FERMI
Luciano Ronchetti
I cenni storici contenuti in questa sezione del nostro sito, insieme all'intervista a Rubes Triva, fondatore del Fermi, ai dati ricavati dalle indagini sugli sbocchi occupazionali fatte nel tempo, ai documenti o meglio "graffiti" pescati qua e là, offrono un quadro sufficientemente ampio di una scuola viva, strettamente collegata con la società modenese, una scuola che ha svolto un ruolo importante nello sviluppo dell'economia del territorio. In quarant'anni sono usciti dal Fermi quasi cinquemila diplomati in Chimica ed in Elettronica (divenuta recentemente Elettronica e Telecomunicazioni).
Molti di questi, la maggior parte, si sono inseriti nel mondo del lavoro, prevalentemente nella provincia di Modena, assumendo ruoli importanti: alcuni sono diventati imprenditori e talvolta imprenditori di rilievo, che hanno costruito aziende tecnologicamente avanzate e ricche. Molti hanno proseguito gli studi nelle facoltà scientifiche, persino alla Normale di Pisa, con risultati brillanti; alcuni sono poi rimasti nell' Università ed oggi sono cattedratici famosi o ricercatori di fama internazionale. Altri hanno fatto le scelte più diverse: chi è diventato insegnante di materie umanistiche, chi cantautore, parlamentare, dirigente sindacale, sindaco. È significativo, ma non strano, che più di una decina di sindaci di comuni della provincia di Modena siano stati alunni del Fermi (senza tenere il conto del numero degli assessori e dei consiglieri comunali).
Il fatto è che il Fermi, affermandosi nel tempo quale buona fucina di chimici ed elettronici, non è stato soltanto un istituto altamente qualificato o considerato tale da una vasta opinione pubblica, ma una scuola particolare, di alto livello formativo anche sul piano civico e culturale.
Il Fermi è stato davvero un'istituzione della società modenese, un centro di formazione di quadri tecnici e dirigenziali che hanno assunto ruoli di primo piano non solo nell'attività produttiva, ma anche nella società civile, nella vita culturale e politica della provincia, lasciando tracce significative e peculiari in tutti i campi nei quali hanno operato. Senza ombra di retorica si può dire che la società modenese sarebbe diversa se non vi fosse stato il Fermi. Valgono alcuni esempi e alcuni dati. Il Fermi è, ed è stato, un istituto scolastico a carattere provinciale: circa il 50% degli alunni, quasi costantemente negli anni, è venuto dai comuni della provincia. Oltre a migliaia di giovani hanno frequentato il Fermi quasi altrettante migliaia di adulti − dai venti anni in su − in corsi serali o tardo pomeridiani di lingue straniere e di informatica (siamo stati una delle poche scuole, forse l'unica in Italia, ad organizzare corsi di questo tipo). Difficile trovare un'azienda modenese o un ente nei quali non vi sia almeno un dipendente che abbia studiato al Fermi. Sono decine di migliaia i modenesi che, direttamente o indirettamente, hanno conosciuto questa scuola e in essa hanno passato qualche ora, qualche mese o qualche anno della loro vita.
Chiunque passi da via Luosi, in qualunque giorno dell'anno scolastico, trova la scuola aperta, dalle 7 del mattino alle 23,30 di sera. Solitamente gli edifici scolastici sono chiusi dal primo pomeriggio in poi, e anche per questo sembrano dei luoghi misteriosi e inaccessibili al cittadino. Il Fermi no. Sembra quasi un porto di mare. Non c'è dubbio che tutto ciò abbia lasciato un segno.
Un altro dato importante è il fatto che questa scuola ha sempre assicurato degli ottimi sbocchi occupazionali. Lo dimostrano le inchieste fatte e parzialmente riportate in questa sezione. Chi si è diplomato al Fermi ed ha cercato un lavoro, ne ha trovato uno quasi sempre conforme alle conoscenze ed alle qualifiche acquisite. Da questo punto di vista il Fermi non teme confronti e la fama che ha conquistato deriva anche da questo fatto, documentato e riconosciuto da tutti.
In campo strettamente scolastico il Fermi può vantare innumerevoli primati. All'inizio degli anni settanta, in seguito alle sollecitazioni del movimento studentesco, nella nostra scuola si sono sviluppate alcune iniziative significative, in molti casi delle vere e proprie novità per la scuola italiana: corsi estivi di recupero per gli studenti rimandati a settembre; gestione sociale dell'istituto ben prima dell'introduzione dei decreti delegati sugli organi collegiali; nascita e sviluppo del corso serale che in pochi anni ha raggiunto livelli quantitativi e qualitativi senza confronti (fino a 350 iscritti, circa 700 lavoratori-studenti diplomati in 25 anni); corso sperimentale, nell'ambito delle 150 ore, per il conseguimento della licenza media e poi del biennio superiore, inizialmente con impegno volontario di docenti della scuola. Dei corsi per adulti si è già detto: è il caso di aggiungere che essi ci hanno consentito di finanziare la ristrutturazione dei laboratori di chimica, ora più attrezzati e funzionali di quelli di molte altre scuole italiane.
Per quanto riguarda i programmi scolastici non possiamo invece vantare innovazioni importanti, anzi, siamo sempre stati molto cauti e non abbiamo partecipato alle sperimentazioni che hanno caratterizzato la scuola italiana alla fine degli anni '70 e all'inizio degli anni '80 (sperimentazioni spesso avventate e selvagge, fatte più per catturare alunni che in base ad obbiettivi didattici e culturali).
Abbiamo sempre pensato e pensiamo che la scuola abbia bisogno di profonde riforme e non di superficiali ritocchi. Tuttavia abbiamo costantemente lavorato per mantenere alta la qualità dell'insegnamento. Non è un caso, ed è solo un esempio, che i nostri studenti del corso di chimica si siano sempre distinti nelle Olimpiadi della Chimica, stravincendo nelle fasi regionali, vincendo o piazzandosi nelle fasi nazionali e conquistando nelle fasi finali internazionali per ben due volte la medaglia d'argento con Stefano Corni nel 1994 a Oslo e Fabrizio Rinaldi nel 1996 a Mosca.
Anche nelle attività extracurricolari il Fermi può vantare innumerevoli successi. Da quando sono stati istituiti i campionati studenteschi di scacchi, nelle fasi provinciali abbiamo sempre dominato, abbiamo vinto parecchie volte nelle fasi regionali e abbiamo conquistato due medaglie d'argento nelle finali nazionali. Così pure nell'atletica leggera, la disciplina sportiva più bella e affascinante, dove abbiamo collezionato innumerevoli vittorie nelle varie fasi e due volte la medaglia d'oro nelle finali nazionali (merito, oltre che degli alunni, di un insegnante di Educazione fisica, il prof. Mario Romano, che ha dedicato alla attività sportiva tutte le ore libere dall'insegnamento, con passione e competenza).
Si potrebbero infine richiamare tanti eventi di risonanza nazionale, quali il premio Victory, assegnato alla nostra scuola nel 1985 per l'inserimento scolastico di un ragazzo portatore di handicap; la bella e lunga esperienza di volontariato vissuta da un gruppo numeroso di alunni presso la struttura per anziani Ramazzini; un'assemblea incontro tra studenti e poliziotti nella fase calda della contestazione studentesca; un'assemblea sul problema dell'insegnamento della Religione cattolica alla presenza del Vescovo di Modena; l'incontro col giudice Antonino Caponnetto (che fece un'indimenticabile lezione sulla mafia). Ecco perché la nostra scuola è ormai un'istituzione della società modenese. Ed ecco perché fra chi ha frequentato il Fermi si è sviluppato un forte e orgoglioso senso di appartenenza, che è un'altra caratteristica di questa scuola. "Quelli del Fermi", "ho fatto il Fermi", "siamo del Fermi": sono frasi ricorrenti negli ambienti modenesi. Con una punta di retorica si potrebbe parlare di "popolo del Fermi". In diverse occasioni questo popolo si è ritrovato: nelle feste per il 25°, in quelle per il 40°, in tante altre occasioni. Ogni venerdì sera, davanti alla scuola, si ritrovano classi degli anni passati. Anche in altre scuole ci si ritrova, perché i legami scolastici sono forti ovunque, ma in questo non c'è scuola che regga il confronto con il Fermi. "Alle otto e mezza davanti al Fermi" è la frase pronunciata chissà quante volte da chissà quanti ex alunni per fissare tempo e luogo dell'appuntamento: ecco perchè questa stessa frase è stata utilizzata come titolo per il libro sui quarant'anni del nostro istituto. Questo forte senso di appartenenza è dimostrato dalle testimonianze che pubblichiamo. Sono testimonianze che non abbiamo sollecitato più di tanto. È stata sufficiente una telefonata.
Ne avremmo potuto pubblicare tante altre, ma abbiamo avuto paura di risultare retorici. Comunque rappresentano forse la parte più bella e più viva del sito. Sono testimonianze per lo più di ex−allievi e docenti, e tutte dimostrano il legame forte che la scuola è riuscita a stabilire con il "suo popolo". Sono state inserite in questo sito in modo volutamente casuale, perché lo scopo è soltanto quello di documentare questo legame affettivo e intellettuale, questo spirito di appartenenza appunto.
Non credo sia fuori luogo ricordare che questi anni di vita della scuola sono stati segnati anche da eventi tristi. Abbiamo inserito l'elenco di tutti i diplomati, ma purtroppo di qualcuno è rimasto solo il nome, a volte neanche quello. Mancano all'appello tanti ragazzi. Molti li abbiamo persi solo scolasticamente, ma tanti altri li abbiamo persi per sempre. Quante volte, in più di vent'anni di presidenza al Fermi, mi è capitato di sollevare la cornetta del telefono per sentirmi dire: "Signor preside, le devo dare una brutta notizia....." decine di volte. La mente correva in un attimo al volto del ragazzo, e le parole di improvvisate condoglianze mi uscivano a stento e confuse. Quante volte! E poi la sofferenza di informare i compagni di classe e i docenti, e la partecipazione ai funerali. Mi piacerebbe poter fare l'elenco di questi ragazzi, ma rischierei di dimenticare qualcuno, magari uno dei tanti bravi alunni che vivevano tranquillamente e anonimamente la loro vita scolastica, spesso anche felicemente, e che un brutto giorno sono caduti nell'oblio dal quale soltanto la memoria dei propri cari li potrà trarre. Almeno uno, però, lo voglio ricordare: Simone Landini. Morì nel 1988, a 16 anni. Frequentava la seconda classe. A causa di una malattia aveva subito in pochi anni otto interventi chirurgici: un calvario. Quello che doveva essere l'ultimo, gli fu fatale: alla fine dell'operazione non si risvegliò. Lo ricordo molto bene: occhi vivaci e dolci, un volto felice, diligente, educato, aveva un grande attaccamento alla scuola. Dopo la morte i genitori vollero donarci tutti i risparmi del ragazzo e le offerte raccolte nel condominio e fra i compagni di lavoro del padre, una cifra consistente. Intitolammo a Simone un'aula speciale, allestita grazie a questi fondi.
Partecipai ai funerali. Il sacerdote ebbe parole toccanti per questo ragazzo, ma quando disse, citando non ricordo quale testo sacro, che è fortunato chi viene chiamato a sé da Dio nell'età dell'innocenza perché così non peccherà, ebbi un sussulto. Non capii allora, e non capisco ora perché un ragazzo debba percorrere un calvario cosi pesante per meritare la vita eterna.
Voglio ricordare anche la scomparsa di tanti amici che hanno lasciato un segno nella vita del Fermi e nella mia vita. L'elenco completo sarebbe lungo. Due di loro, però, non posso non ricordarli.
Uno è Giovanni Bedogni (detto Luciano), custode della scuola, morto nel 1976. Comunista d'acciaio, democratico e tollerante, generoso, amico di tutti, gran lavoratore: per lui la scuola era tutto, e per essa avrebbe fatto qualunque sacrificio. Quando il preside negava l'assemblea agli studenti e ordinava di chiudere a chiave l'aula magna, lui fingeva di smarrire la chiave e lasciava la porta aperta per evitare che qualche alunno rompesse la vetrata (eravamo nella fase calda della contestazione). Se il preside lo rimproverava, abbassava la testa e si impegnava a non farlo più... fino alla prossima volta. E che discussioni per convincerlo che non era giusto mettere i foglietti col compito svolto nei panini da portare agli studenti! Già, perché per Luciano aiutare un alunno era un atto di giustizia, tanto era il suo amore per i giovani. E che discussioni politiche! Ma senza astio e pregiudizi, senza incrinare una solidarietà che a tutti offriva e da tutti riceveva, nel più totale disinteresse personale. L'altro è Giuseppe Bernardi, insegnante di Religione, di Italiano, e poi anche coordinatore del corso serale. Morì a soli 33 anni, nel 1978, in un incidente stradale, mentre tornava a scuola dalla casa di montagna dove abitavano i genitori, assieme alla moglie (che fortunatamente si salvò dopo un lungo travaglio in ospedale). Quando ricevetti la notizia, al dolore si aggiunse il timore che forse l'incidente fosse stato determinato dalla fretta di arrivare puntuale a scuola (Giuseppe sapeva che mi arrabbiavo se qualche insegnante tardava).
Poi appresi che l'incidente era avvenuto molte ore prima dell'inizio delle lezioni, e mi sentii sollevato dal dubbio di essere stato in qualche modo corresponsabile di quel tragico evento. Credo sia stato un sentimento di umano egoismo, che non lenì però la ferita. Giuseppe Bernardi era cattolico, un cristiano di quelli che porgono l'altra guancia quando ricevono un'offesa. Era un uomo colto, intelligente, mite e generoso. Sul suo volto si intravedeva costantemente un sorriso tenue, dolce e un po' malinconico, quasi un presagio del suo destino. Non l'ho mai visto arrabbiato o polemico, sapeva ascoltare e capire le ragioni altrui. I suoi amici credenti hanno pensato che Dio abbia voluto portare in cielo questo angelo terrestre, e solo così hanno potuto spiegare la sua morte. Rimane la sua opera. Dall'incontro fra la sua cultura e la sua fede religiosa con la cultura dei lavoratori−studenti del Fermi e di ambienti laici e operai di ispirazione marxista, frequentati da Giuseppe, è derivato un grande impulso ai corsi serali dell'Istituto.
Ma la vita di una grande scuola non si ferma davanti ai tanti piccoli e grandi fatti dolorosi. Nuove generazioni entrano ed escono. Tutto cambia, tutto si rinnova. Ci sono però molti elementi di continuità, che fondano l'identità di una scuola, e che sono esemplificati da personaggi simbolo. Se lo spazio lo consentisse si potrebbe fare un lungo elenco di queste persone che hanno dato un'impronta al Fermi. Ne voglio ricordare soltanto tre, scusandomi per i tanti che meriterebbero di essere citati. Guglielmo Canali, il nostro bidello operaio, uomo factotum, in un certo senso erede di Giovanni Bedogni. Da anni fa il manutentore della scuola.
Un guasto, un rubinetto che perde, un banco rotto, un muro sporco: chiamate Canali! E lui silenziosamente interviene e aggiusta. Uomo buono e sempre disponibile, tollerante, amico degli studenti, gran lavoratore: si deve in gran parte a lui se l'edificio scolastico è sempre in ordine.
Durante l'anno capita, come in altre scuole, ma forse meno, che si verifichino piccoli atti vandalici, volontari o involontari, da parte degli alunni. E Guglielmo, durante l'estate, nei periodi di vacanza, nei pomeriggi, o quando l'aula è vuota, ripara i guasti, con infinita pazienza, sapendo che la sua è una fatica che si ripete di anno in anno.
Eppure non si è mai arreso, né mai si avvilisce. Ogni mattina è pronto a ripartire, armato di cagnetta, pennello e colore, e di paterna comprensione per i ragazzi, vivaci, a volte eccessivi e anche maleducati nei loro comportamenti, ma capaci di capire un rimprovero e di non ripetere un errore di esuberanza giovanile.
Meris Fontanesi, addetta di segreteria fin da giovanissima. Donna seria, di spiccata intelligenza, dotata di quella tipica capacità di capire in un attimo problemi e situazioni, memoria vivente della storia del Fermi dell'ultimo quarto di secolo, si impegna con meticolosità al limite della perfezione nell'attività di segreteria. Nulla le sfugge nel suo lavoro. I suoi consigli, il suo impegno, il suo carattere cordiale, il suo modo di fare semplice e gentile, sono un essenziale punto di riferimento per me, per gli insegnanti, per gli alunni, per la scuola tutta.
Mario Bergami, insegnante, preside per quattro anni e di nuovo insegnante, ancora in servizio. Uomo mite e saggio, riflessivo, interiormente sereno, è un docente eccezionale. Paziente con gli alunni, chiaro nelle spiegazioni, dedito instancabilmente al lavoro con continuità, tutti i giorni, tutti i mesi dell'anno. Anche durante le vacanze, molto spesso, è presente a scuola per dare ripetizioni a qualche alunno. E per pagargli qualche ora di straordinario devo sollecitarlo ripetutamente a compilare l'apposito modulo. Se qualcuno un giorno vorrà proclamare, laicamente, un santo fra i docenti, Mario Bergami è la persona giusta.
Mi sembra doveroso, per terminare questa introduzione, portare anche una mia personale testimonianza. Sono arrivato al Fermi nel 1969. Avevo alle spalle un'esperienza di impegno politico deludente, e attraversavo una crisi ideologica determinata da un contrasto fra i miei ideali comunisti di gioventù e gli esiti disastrosi della loro realizzazione storica. Ho insegnato Matematica fino al 1976, poi sono diventato preside della scuola, dapprima eletto dal Collegio dei docenti (per quattro volte e sempre a larghissima maggioranza) e poi di ruolo. Ora sono verso la fine della mia lunga vita in questa scuola. Non so e non posso esprimere un giudizio sul mio lavoro. So però che sono stati anni belli, di grande impegno, di passione crescente per la scuola, e vorrei dire di grande amore per il Fermi. Una scuola è come una nave che ogni anno approda in un porto: alcuni scendono, altri salgono. E la navigazione continua. Il viaggio ha una meta. Ma non è il raggiungimento della meta che appaga. È il viaggio. Un viaggio fra mille difficoltà, con tanti piccoli e grandi problemi, che richiedono un impegno continuo, logorante, paziente. Molti di questi problemi li ho individuati, tanti li ho affrontati, pochi forse li ho risolti. Ma ho scoperto che il modo migliore di fare politica è la capacità di cimentarsi con le situazioni reali, di cambiarle poco a poco, di costruire il nuovo con il materiale che si ha a disposizione e nelle condizioni date. E ogni problema risolto o affrontato, ogni singolo, anche minimo risultato raggiunto, ogni successo della scuola − e quanti successi! − accresceva in me l'attaccamento al Fermi e la voglia di andare oltre. In questo sono stato appagato, e per questo mi ritengo fortunato. Ho vissuto gran parte della mia vita in un luogo dove mi è stato possibile sentire, capire, immaginare, costruire. Sentire la gioia, la sofferenza, a volte la rabbia di tanti giovani. Capire che hanno tante ragioni, comunque più ragioni che colpe, e le colpe che hanno, in ultima analisi, ricadono su di noi, perché noi, genitori, insegnanti e adulti li abbiamo allevati, educati e istruiti. Immaginare una scuola migliore e cercare di costruirla, o di contribuire a costruirla, giorno dopo giorno, senza tregua e con grande impegno ed energia.
Queste note sono la dimostrazione che qualcosa ho fatto, qualcosa abbiamo fatto. Ma molto si potrà e si dovrà fare per il Fermi "degli anni ancor non nati" Non da parte mia, né da parte di quelli che come me hanno vissuto la storia passata, e che forse, inevitabilmente, sono più portati a vivere ed a conservare i ricordi, ma da quelli più giovani e da quelli che verranno e che alle soglie del nuovo millennio si dovranno misurare con i grandi cambiamenti scolastici auspicati, annunciati e già in parte in via di realizzazione.